A cura di Danilo Serra
La speculazione filosofica dell’italiano Gianni Vattimo prende spunto dalla personale interpretazione ermeneutica condotta minuziosamente sui testi di due pedine fondamentali e fondanti della Storia della Filosofia contemporanea, Nietzsche e Martin Heidegger, due autori aventi il merito di aver paradossalmente ricondotto il suo vissuto verso un Cristianesimo ritrovato, un Cristianesimo non più religioso e “istituzionalizzante”.
Nietzsche è l’autore che ne ‘La gaia scienza’ (Die fröhliche Wissenschaft) non ha avuto alcun timore e tremore nel fare pronunciare ad un interessante personaggio la morte di Dio, “Dio è morto!” [Gott ist to!]. Heidegger, soprattutto il “secondo” Heidegger, quello della svolta (la chère) come si usa dire, ha combattuto filosoficamente contro un pensiero metafisico onto-teologico, colpevole di aver miseramente taciuto ed obliato l’Essere, ciò che in termini heideggeriani viene a configurarsi come il più pre-occupante (ein Bedenkliches), ciò che ci (uns, a noi) pre-occupa e ci coinvolge prima di ogni altra cosa.
Nietzsche
e Heidegger sono dunque in Vattimo protagonisti di una battaglia dialettica che
impreca ed invoca l’Addio alla Verità
(non a caso ‘Addio alla Verità‘ [2009] è
anche il titolo di una delle opere recenti di Gianni Vattimo). In loro,
il dibattito filosofico ha almeno un punto di convergenza: non si da alcuna
fondazione ultima e normativa. E’ questo il senso di quella che Vattimo
definisce l’epoca del pensiero debole,
epoca nella quale la
Filosofia diviene s-fondamento,
“fare vedere che non c’è nulla di veramente fondato”. Tutto è accadimento, orizzonte di senso, caducità
storico-temporale.
La
debolezza del pensiero [debole] consiste nel suo non essere più in grado di
rispondere fermamente alla domanda di leibnieziana memoria: perché [esiste] qualcosa anziché niente? Di cosa possiamo affermare con evidenza
di essere certi?
<<Di tutto ciò di cui non si
può parlare si deve tacere.>> Con questa ambigua proposizione Wittgenstein de-terminava
il suo Tractatus
Logico-Philosophicus, l’unico testo da
lui pubblicato in vita.
L’addio alla Verità si compie in maniera silenziosa. Dinanzi alle grandi meditazioni metafisiche il velato
protagonista è solo il silenzio.
Possiamo ancora parlare di Verità nell’epoca dell’incertezza e dell’abbandono
della ricerca de-finitiva di un fundamentum inconcussum?
Karl Popper, filosofo ed epistemologo austriaco, ha mostrato a tutti come
sia piuttosto illusorio cercare fondamenti anche nella scienza.
Abbiamo creduto che tutti i
cigni fossero bianchi finchè non abbiamo visto con i nostri occhi i cigni neri
d’Australia. Non è possibile dimostrare
vera, assolutamente vera, qualsiasi teoria; mentre è logicamente possibile
smentire, a suo di fatti contrari, una teoria. Non possiamo verificare (farla
vera) una teoria, ma ci è possibile falsi-ficarla (farla falsa). Insomma, la
dimensione del fallibilismo e dell’errore (produttivo) abitano il piano
scientifico, ciò che un tempo, nei termini di pensiero positivo, veniva universalmente concepito con la perentoria
nomea di ‘campo di conoscenze assolute e sempre vere’.
“L’unico punto pressoché certo nel naufragio
è il punto interrogativo”, sottolinea lo scrittore e poeta libanese Salah Stétié. Siamo certi di vivere nell’incertezza, nella debolezza,
nella non-assolutezza, nella limitatezza. E questa è stata la più grande conquista della prima vera rivoluzione
scientifica del secolo scorso, revolutio che ha smembrato, tra le altre cose, la validità suprema del principio
deterministico, rivelando, ad esempio, i limiti degli assiomi dell’identità
della logica classica e i limiti propri della conoscenza umana.
Riagganciandoci
al tema esposto in principio, possiamo in Vattimo parlare di verità solamente nei
termini di ‘senso’ [orizzonte di senso],
del senso che un dato ha entro un pro-getto; un senso (a noi e per noi) che di-viene un ‘porre’, un ‘determinare’,
‘ciò che noi ‘mettiamo’ alle cose’. Lo
stare all’interno di un ambito in-stabile (nulla si da e si concede definitivamente)
in cui l’Essere lascia essere,
salvaguarda e tutela l’etica della
libertà (o etica della debolezza), secondo la quale io sono libero in
quanto libero di im-porre un senso. Se
c’è una realtà oggettiva, Vera, assoluta, io non sono libero, poiché non sono
libero di esibire le mie argomentazioni e di pro-gettarmi esserCi attivo e pensante.
L’addio alla Verità vuole dunque essere l’addio ad uno sguardo
unilaterale, l’addio alla repressione.
La verità è sempre accompagnata dalla violenza.
Ad esempio, evidenzia Vattimo, il mondo cattolico, affermando le verità
naturali della Famiglia (unione ‘naturale’ di uomo e donna) attua una lotta
repressiva nei confronti dei diritti omosessuali. Il richiamarsi ad una Verità
fissa, stabile, determinata, porta così alla repressione/violenza.
L’addio alla verità implica l’impossibilità di pensare l’Essere metafisicamente
inteso: fissità, fermezza, fondamento, Sub-jectum stabile. Nell’epoca della
post-modernità, epoca della post-metafisica, l’Essere può essere pensato solo e
semplicemente come invio, trasmissione, destino (ciò che destina,
che fa essere), evento, ‘Ereignis’, così come ha insegnato l’intera
tradizione fenomenologica husserliana.
<<Un Dio “diverso”
dall’essere metafisico non può più essere il Dio della verità definitiva e
assoluta che non ammette alcuna diversità dottrinale. Per questo lo si può
chiamare un Dio “relativista”. Un “Dio debole”, se si vuole, che non svela la
nostra debolezza per affermarsi a propria volta come luminoso, onnipotente
sovrano, tremendo, secondo i tratti propri del personaggio (minaccioso e
rassicurante) della religiosità naturale-metafisica.>>
Così parlò
Vattimo in una delle pagine più profonde ed incisive del suo ‘Addio alla Verità’.
Il
Dio della post-metafisica è il Dio del
Libro, il Dio del Vangelo, il Dio della Non-Religione. Il
Cristianesimo non religioso è il Cristianesimo dell’intimità, della
singolarità, dell’interpretazione [orizzonte di senso], del silenzio, in antitesi al Dotto
Cristianesimo istituzionalizzante. Richiamandosi alle dimensioni interiori e
soggettive, ‘In interiore homine habitat
veritas’, il Logos cristiano
distrugge ogni Assoluto Terrestre ed ogni Metafisica oggettivante e
tecnicizzante.
L’Incarnazione, il senso stesso del
Cristianesimo, è l’idea di un Dio che rinuncia alla sua forza suprema, al sua
carattere imperativo ed imperante, facendosi debole tra i deboli, umile
tra gli umili. Il Dio relativista e
debole è il Dio che rinuncia alla sua Onnipotenza. E’ un Dio che si incarna, che si ossifica, che si materializza,
che si svuota. Questo è il destino
della metafisica, l’Oltre della metafisica stessa, la Kenosis
[vacuità] in quanto svuotamento, Evento (Ereignis) storico, essenza del
Cristianesimo Anti-Metafisico.
<<L’idea
della kenosis, che per i cristiani è
il senso stesso dell’incarnazione ed è dunque al centro della storia della
salvezza, si impone dal punto di vista del destino della metafisica (…). Vista in
questa luce, la kenosis che è il
senso stesso del cristianesimo significa che la salvezza consiste anzitutto nel
rompere l’identità tra Dio e l’ordine del mondo reale; in definitiva, nel
distinguere Dio dall’essere (metafisico) inteso come oggettività, razionalità
necessaria, fondamento. >> (Gianni Vattimo, Addio alla Verità, 2009).
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