All’interno
di una compatta pellicola cinematografica si nascondono svariati universi
virtuali in grado di sommuovere ed elevare attivamente l’Anima umana.
Come
può un uomo saggio non esporsi e non ri-flettere alla veduta di un film attuale
e tragicamente coinvolgente come “La scuola”? Come può non
rispecchiarsi e non catapultarsi mentalmente in quella realtà abitata e
rappresentata ferocemente dallo scintillante attore nostrano Silvio Orlando?
I
film non sono semplicemente film poiché contengono e producono “in nuce” uno
Spirito, una Storia vivente, un intreccio narrativo destinato a divenire
meta-fisico, immortale, non preda della fugacità temporale.
Ciò
che all’attento osservatore del film “La scuola” non potrà mai sfuggire di mano
sarà l’angosciante presenza di un sistema
disfunzionale e catastrofico. Un sistema, quello scolastico, in cui gli attori protagonisti (docenti e
alunni) sembrano viaggiare e vagare intimamente sullo stesso binario ideale. Un
binario destinato a raggiungere la meta aberrante del non senso.
Così,
l’intreccio cinematografico si sviluppa tra professori monchi di una qualsiasi
forma di autorità e professori “gentilianamente”
abusanti del personale potere istituzionale mossi dall’immobile motto:
<<la scuola non è per tutti!>>.
Una
scuola, di conseguenza, da un lato dominata dal menefreghismo e dall’assenza di
stimoli; dall’altro contrassegnata dalla “matematizzazione” della persona studente divenuta cifra, ente, numero effimero.
Il
film in questione è, e non può essere altrimenti, l’immagine concreta della
nostra reale società; uno spaccato tendente ad illuminare un sistema incapace
di comprendere il senso puro del proprio essere.
In
un contesto assente e non interessato, dove sono immersi sia docenti che
alunni, spicca l’atteggiamento eroico del professore di Lettere incarnato dal
già menzionato Silvio Orlando, l’unico veramente consapevole degli errori e degli orrori presenti nella <<scuola italiana>>. Egli si pone
come la voce silente nel deserto, l’eccezione in un’epoca ostile e barbara. Nonostante
il suo atteggiamento “professionale” appaia molle e poco istituzionale (il film
è pur sempre ambientato nell’ultimo
giorno di scuola), il “professor” Orlando ha il merito di aver compreso
l’improduttività e l’inutilità del sistema scolastico in cui si ritrova a
cooperare. Tale sistema non poggia sul tempo
della pre-occupazione. Non c’è, ovvero, un’attenzione ai bisogni e alle
attese degli alunni. L’ascolto, il dibattito, la discussione su tematiche
comuni sono tutti elementi sconfinati nello spazio del ‘non potere’, assenti da
una dimensione sistemica oramai incapace di innalzare e far crescere
l’individuo umano, quest’ultimo risultato e figlio di una scuola alla deriva.
Una scuola che il film ha contribuito a rendere immortale nel ri-[cor]do. Una
scuola, un sistema, una microsocietà da ri-pensare e ri-modellare, al fine di
procreare quella che Morin ha letteralmente definito la “testa ben fatta”, in antitesi e opposizione all’inutile “testa ben piena”.
<<E’ meglio una testa
ben fatta che una testa ben piena.>> (Michel de
Montaigne)
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